Via Nel frammento del movimento Fides Vita, scopro una testimonianza di Cristina, la madrina di mia figlia Silvia.
Molto utile per me. Ti ringrazio Cristina, proponendo qui in versione integrale il tuo articolo.
Quando Nicolino insieme ad alcuni propose il pellegrinaggio verso padre Pio a San Giovanni Rotondo ne fui molto felice. Non sono particolarmente devota di padre Pio e di lui non mi affascinano particolarmente le sue stigmate e tutti quei doni che aveva. Di lui mi colpisce la sua grande fede, la sua totale dedizione a Cristo e alla Chiesa, l’amore a Gesù e alle creature, all’uomo nella sua totalità, la sua obbedienza a Cristo nel segno della Chiesa, nel segno dei suoi confratelli, dei suoi superiori. Mi colpisce il sacrificio che non mancò mai nella sua vita, di cui le stigmate e tutti gli altri doni che aveva, non sono altro che segno di quell’amore, di quella preferenza, di quel poggiar tutta la vita su Cristo Nostro Signore. Mi colpisce il suo temperamento, il suo essere a volte così burbero e severo per risvegliare alla fede tutti coloro che l’avvicinano. Mi colpisce l’uomo totalmente immedesimato con Gesù fin dentro una carne crocifissa, e crocifissa per amore. Mi colpisce la sua umanità come segno dell’umanità redenta, come segno del totalmente Altro.
Confesso che, quando ero ragazzina, la domanda del mio cuore era fortissima, il desiderio di Verità, il desiderio di Dio era incessante. Non che ora non lo sia, ma all’epoca era un gridoincolmabile segnato dalla sofferenza per condizionamenti difficili da accettare. Ricordo che ero affascinata da Gesù, dal “mio Gesù”, il “super eroe” del mio “fumetto” preferito, il Vangelo. Ero affascinata da Lui, dalla sua vita, dai miracoli che faceva, dalla sua morte e resurrezione. Ero talmente affascinata dal fenomeno che chiedevo di essere come Lui, di vivere come Lui, di risuscitare i morti come faceva Lui, di camminare sulle acque e sulle nuvole, di spostare le montagne, le colline e le valli con la sola forza della fede, di moltiplicare pani, pesci e tante altre cose… volevo morire come Lui, come Pietro, come paolo, come i primi martiri sbranati dai leoni che andavano incontro al martirio cantando e lodando il Signore… volevo andare tra i poveri in Africa, in Brasile. Volevo fare del bene, volevo essere sua… volevo tante cose. Io volevo, io e basta… tutto pur di non guardare me, tutto pur di rifiutare quell’ambito preferenziale e peculiare di rapporto col Signore stabilito per me. Sognavo un’altra me perchè ciò che vedevo di me non mi piaceva, ma il signore fa quello che vuole e si serve di ogni cosa per attirarci a Sè, di fenomeni straordinari, di uomini e donne totalmente immedesimati con Cristo Gesù fino ad entrare nelle tue viscere per affermare la sua supremazia su tutto ciò che anteponi al suo Amore e alla sua Misericordia, a Lui. Poi un giorno ascoltai UNO che diceva che si può esser santi anche semplicemente pelando patate, cambiando pannolini, essendo semplicemente se stessi, come faceva Maria con Gesù. Ma era proprio questo esser semplicemente se stessi che mi spaventava, l’affronto di me mi stava logorando. Da quel momento però, piano piano, tutto iniziò a cambiare.
Nicolino, durante l’incontro vissuto con noi la mattina per introdurci al passaggio davanti alla salma di padre Pioci diceva, parlando di lui (sono miei appunti): “<La santità – come diceva Adrienne von Speyr – non consiste nel fatto che l’uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto>. Tutto, tutto il mio io… <Non sono più io che vivo – afferma san paolo – ma è Cristo che vive in me>… La santità non è una superumanità, ma è l’umanità che aderisce a Dio fino in fondo, è la totale affezione a Cristo che segna ogni aspetto della vita di san Pio… Poi è Dio che porta dove vuole quell’uomo. I santi sono uomini che fanno fare tutto a Dio, si lasciano prendere da Lui, fa tutto LUI… La mia amicizia con padre Pio non è per un motivo diverso da quello che ho con Margherita Coletta, moglie del vicebrigadiere Giuseppe Coletta, morto nell’attentato di Nasiriyah, che saputa la morte del marito, con in braccio la figlia di due anni, diceva a se stessa e ai giornalisti: “la nostra vita è tutta qua dentro“, indicando il Vangelo. Poco tempo prima aveva perso anche il figlio Paolo, malato di leucemia:<Noi non possiamo conoscere i disegni di Dio – diceva – ma abbiamo un’unica grande certezza ed è che Dio ci ama. Lui non può volere il nostro male, dunque se ha permesso questo è per darci un giorno un bene maggiore. Io non posso capire, ma mi fido e mi affido>”.
Che cosa allora, dovrei chiedere io, Cristina, alla intercessione di padre Pio, alla comunione dei santi, se non esattamente questo? Cosa devo chiedere? Che mi vada tutto bene?! Che mi tolga ciò che non mi piace perchè mi fa cadere ed inciampare sempre?! Cosa devo chiedere se non lo stesso cuore dei santi, la loro medesima tensione, la loro stessa fede, il loro stesso sguardo, la loro stessa intelligenza… Gesù stesso. Nicolino in un altro passaggio di quell’incontro ci ripeteva una citazione di Paul Claudel che dice: “La santità non è baciare un lebbroso sulla bocca o andare a morire in terra di Pagania, ma è fare la volontà di Dio, prontamente, sia che si tratti di restare al proprio posto, sia che si tratti di salire più in alto“.
Ma chi stabilisce che io debba rimanere al mio posto? Chi stabilisce che io debba salire più in alto?Io lo stabilisco? Noi abbiamo la grazia di un’Amicizia più grande che è la Chiesa, una strada, un cammino come metodo stabilito da Dio stesso e donato a noi per opera dello Spirito Santo, per non sbagliare mai, per non inciampare mai, per non tradire mai ultimamente. Un’Amicizia che ti sostiene e che ti rialza sempre, un’Amicizia che punta il dito duramente, severamente, gravemente, non contro di te, ma per indicare CHI va guardato sempre, Gesù Cristo il Nazareno, l’anelato dal cuore mio. Senza questa Amicizia io starei ancora a sognare di camminare sulle acque come Lui, di spostare le montagne come Lui, di far resuscitare i morti come Lui… tutte cose belle, sante e buone, ma tutte senza di LUI.